Antico Egitto, la vita oltre la vita - 2023

Viaggio tra i simboli e le ombre: il respiro dell’arte di Ballarin

Quando Luigi Ballarin ha concepito “Antico Egitto. La vita oltre la vita”, non ha voluto soltanto mettere in scena immagini ispirate all’Egitto antico: ha inteso tracciare un ponte fra tempi remoti e l’oggi, fra dominazioni millenarie e le nostre tensioni interiori.
Questo resto nasce per accompagnare chi visita (o leggerà) l’artista nel suo percorso, suggerendo chiavi di lettura, spunti meditativi e – soprattutto – invitando a guardare ogni opera come un microcosmo di memorie e visioni spirituali.

L’idea centrale: ponti tra mondi

Luigi spesso dice che fare arte equivalga a “gettare ponti tra mondi lontani”. Nella mostra all’Accademia d’Egitto, questo manifesto si traduce nel mettere in dialogo realtà e immaginazione, archeologia e simbolismo, concretezza e mistero.

Le otto opere di grande formato non sono semplici rappresentazioni decorative, ma vere e proprie narrazioni: ciascuna è un mondo compresso in uno spazio visivo, uno specchio nel quale il visitatore può ritrovare il respiro antico e — idealmente — riconoscersi.

Tecnica e luce: gli ingredienti dell’alchimia visiva

Ballarin utilizza tecniche miste — acrilico, smalto, interventi metallici — per ottenere superfici che non sono piatte, ma vibrano di energia interna.
Quelle superfici brillanti, quei scorci metallici, servono a restituire alla pittura una dimensione quasi rituale: non siamo di fronte a semplici “dipinti”, ma a porte verso l’invisibile.

In particolare la scena della psicostasia – la celebre “pesatura del cuore” dell’Antico Egitto – diventa per lui un paesaggio simbolico: un atto di bilanciamento fra luce e ombra, vita e morte, memoria e oblio.

Il libro dei morti reinventato

Uno dei nodi più intensi del progetto è l’interpretazione contemporanea del Libro dei morti, visto non come volume sacro da archeologi, ma come “testo vivente” di ogni individuo. Per gli antichi egizi, la morte non era la fine, ma una soglia: un passaggio che richiedeva cura, ritualità, speranza.

Ballarin trasforma questo concetto in immagini che esplorano la tensione fra decadimento e risveglio. I simboli egizi (cuore, piuma, bilancia, divinità) emergono da geometrie astratte o da campiture luminose che sembrano vibrare.

In altre parole: l’“aldilà” non è solo lontano nel tempo, ma vicinissimo al presente dell’artista e dello spettatore.

Il dialogo con il visitatore

In mostra, Ballarin vorrebbe che ciascuno – il curioso, lo studioso, il viaggiatore dell’anima – si fermasse davanti a un’opera come davanti a una piccola soglia. Non esiste un “obbligo di lettura”: il visitatore viene invitato ad ascoltare, guardare, vibrare.

Le sue parole risuonano: «L’opera diviene il luogo magico nel quale dialogano realtà diverse che, altrimenti, non si sarebbero mai incontrate».
È lì che avviene la fusione: tra il visibile e l’invisibile, fra l’oggi e il lontano, fra il cuore del pubblico e quello dell’artista.


LE OPERE IN MOSTRA

 

GALLERIA FOTOGRAFICA DELL’EVENTO

 

RASSEGNA STAMPA DELL’EVENTO:

Artribune
Accademia d’Egitto
Exibart

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